L’imperatore Enrico II è un esempio di rettitudine nella difficile arte del governare: per questo oltre che Santo è patrono delle teste coronate. L’ambiente in cui maturò la santità di questo sovrano tedesco a prima vista potrebbe sembrare il meno adatto all’esercizio della perfezione cristiana, crebbe in compagnia di sante persone. Figlio del duca di Baviera, nacque in un castello sulle rive del Danubio nel 973. Suo padre, dapprima denominato “il rissoso”, fece tali progressi nell’addolcire il carattere alla scuola di una mite consorte che finì per essere chiamato “il pacifico”. Enrico ebbe un fratello, Bruno, che rinunciò agli agi della vita di corte per diventare pastore d’anime come vescovo di Augusta. Delle due sorelle, Brigida si fece monaca e Gisella andò sposa a un santo, re Stefano di Ungheria. Il principe Enrico venne affidato dalla madre ai canonici di Hildesheim e più tardi al vescovo di Ratisbona, S. Wolfgang, alla cui scuola si formò culturalmente e spiritualmente.
A proposito di Sant’Enrico, si narra che egli visitasse un giorno l’Abate del monastero di San Vanne, a Verdun, gli chiese di essere ammesso nella famiglia spirituale dei monaci, ma il saggio Abate scosse la testa: «Continua il tuo lavoro, figlio mio» gli avrebbe detto «continualo per obbedienza». Ma qual era il mestiere di Sant’Enrico? Era Re di Germania e d’Italia, Imperatore del Sacro Romano Impero. Un Imperatore Santo, la cui attività di governo gli ha meritato un posto di tutto rispetto nella storia politica e civile dei Medioevo europeo. Nipote del fondatore dell’Impero Romano Germanico, Ottone detto il Grande, figlio del Duca di Baviera, Enrico II succedette sul trono imperiale, a trent’anni, al proprio cugino Ottone III, morto giovanissimo.
Un episodio singolare, che ha il sapore della leggenda, contribuì a mantenerlo sul retto sentiero negli anni giovanili. Aveva ventitré anni, quando in sogno gli apparve il suo precettore S. Wolfgang, morto da poco, che tracciò sul muro della camera due brevi parole: “Fra sei”. Enrico pensò di dover morire sei giorni dopo e trascorse l’attesa in pii esercizi. Passati i sei giorni senza che nulla succedesse, interpretò il presagio per sei mesi e continuò a disporsi a ben morire. Dopo sei mesi Enrico era ancora in vita e ringraziò Dio di aver davanti a sé ancora sei anni per accumulare meriti. Trascorsi sei anni, Enrico si trovò sul trono di Germania, ben corazzato spiritualmente per non cedere alle facili tentazioni del potere e della mondanità.
Non gli mancarono le occasioni di dar prova di quanto aveva imparato alla scuola di S. Wolfgang. Portò avanti grandi iniziative con fermezza e al tempo stesso con moderazione. Due anni dopo la sua elezione a re di Germania, il papa Benedetto VIII pose sul suo capo e su quello della pia consorte Cunegonda la corona del Sacro Romano Impero. La sua elezione non fu dovuta a intrighi o a violenza, ma alla concorde designazione dei feudatari e dei grandi Elettori tedeschi che sperarono di trovare in lui l’uomo adatto a mantenere ordine e autorità nel paese agitato e diviso. Il regno di Enrico infatti non fu facile. Egli dovette lottare con i Signori ribelli al suo dominio e riportar la pace tra i sudditi in Germania. Anche in Italia, dovette combattere con Arduino, marchese d’Ivrea, che i feudatari locali avevano eletto Re a Pavia. Poi, scontenti del dispotismo di Arduino, chiamarono a spodestarlo il Sovrano tedesco, offrendo a lui la «corona ferrea».
Ma la saggezza politica e la fortuna militare di Enrico II non ebbero radici soltanto umane. La sua vita era uno specchio di virtù, la sua carità ardente e generosa. Non insuperbì della sua condizione, né si gloriò delle proprie innegabili qualità di regnante. Si mantenne umile al punto di consigliarsi e di obbedire a chi – come l’Abate di Verdun reputava più saggio e più autorevole di lui. Nella vita privata, gli fu accanto una donna degna di lui, la Regina Cunegonda, anch’ella poi onorata come Santa. Insieme, queste due anime doppiamente gemelle, lavorarono alla propria perfezione spirituale e insieme al maggior benessere dei loro sudditi. Uno dei migliori amici di Enrico fu uno dei più grandi Santi del suo tempo. Odilone, Abate di Cluny, riformatore dello spirito monastico. Dietro i suggerimenti di questo ispirato consigliere, l’Imperatore portò, anche nel governo delle cose terrene il lievito della cristiana spiritualità, il calore della carità e, soprattutto, l’esempio raro tra i potenti della correttezza civile e dell’onestà morale. Promosse, al contempo, la riforma del clero e del monachesimo. Chiese e ottenne dal papa Benedetto VIII – per una maggiore conoscenza delle verità di fede dei fedeli – l’inserimento nella celebrazione eucaristica della domenica e delle feste principali, la recita della professione di fede.
Quando morì, a cinquantadue anni, il 13 luglio 1024, dopo una dolorosa infermità, sopportata con esemplare rassegnazione, lo circondavano dolenti tutti i Grandi dell’Impero e soprattutto, invisibili, i suoi meriti di uomo e di sovrano, alti quant’era stata alta la sua condizione nel mondo. Fu sepolto a Bamberga. Papa Eugenio III lo incluse nell’elenco dei santi nel 1146.